Ricorre oggi la giornata della memoria per la più grande tragedia del ventesimo secolo: l’Olocausto. Secondo le stime, circa 6 milioni di ebrei furono uccisi nei campi di concentramento nazisti: oltre a essi, furono deportati anche rom, omosessuali, testimoni di geova e quanti sembravano in qualche modo ‘diversi’ agli efferati gerarchi nazisti, per un totale che oscilla tra 10 e 14 milioni di vittime civili. Come è noto, anche lo stato italiano fu un triste protagonista di queste vicende, attraverso il patto che Mussolini stipulò con Hitler: anche in Italia furono promulgate le leggi razziali, che prima limitarono le libertà degli ebrei, poi li ghettizzarono e deportarono nei campi. La città di Salerno visse la situazione in maniera simile alle altre città italiane: nelle scuole si insegnava la superiorità della razza ariana e di quella italica; molti salernitani vissero il dramma della deportazione: la città all’epoca contava tra i residenti numerosi ebrei, basti pensare che un quartiere di Salerno, all’interno del centro storico, era detto ‘Giudaica’, e ancora oggi una via cittadina è detta Vicolo Giudaica. Diversi ebrei salernitani persero la vita, dopo aver lavorato fino allo sfinimento nei campi della morte. Altri, invece, furono più fortunati: nella cittadina di Campagna, quaranta km a sud del capoluogo, fu infatti allestito un altro campo di concentramento, ma tale struttura godette della protezione e dell’assistenza dell’allora Vescovo di Campagna, Giuseppe Palatucci, che tentò in tutti i modi, e riuscì a garantire, la salute fisica agli ebrei lì rinchiusi, i quali dovettero subire soltanto la ghettizzazione all’interno della struttura. E’ proprio attraverso questo campo che sale agli onori della cronaca un giovane, che può essere definito un vero e proprio eroe, un santo della nostra epoca: Giovanni Palatucci era il nipote del Vescovo di Campagna. Nacque a Montella, in provincia di Avellino, nel 1909. Nel 1936 entrò in polizia, divenendo Vice commissario di Pubblica Sicurezza a Genova. Nel novembre 1937 fu trasferito a Fiume, dove assunse l’incarico di responsabile dell’ufficio stranieri presso la Questura, e più tardi di Questore reggente. Così, attraverso il suo lavoro Palatucci si trovò a contatto stretto con gli ebrei di Fiume che dovevano essere deportati.
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In quegli anni, Palatucci si rifiutò di aderire alla politica razzista e salvò dalla deportazione, falsificando i passaporti e adottando una miriade di altri stratagemmi, oltre 5000 ebrei. Nel 1939 Palatucci rifiutò un trasferimento a Caserta, vicino casa sua, pur di continuare ad aiutare gli Ebrei. A partire dal 1940, essendo diventati più rigidi i controlli nazisti, Palatucci si accordò con lo zio Vescovo, e convinse di volta in volta i suoi superiori a mandare gli ebrei fiumani nel campo di concentramento di Campagna: qui essi erano in realtà protetti dal Vescovo Palatucci e potevano stare al sicuro. I rapporti di Palatucci con i suoi superiori divennero sempre più difficili, provocando grandi sospetti. L’8 settembre del ’43 Salerno fu teatro dello storico sbarco degli alleati, che proprio dalla nostra città iniziarono la riconquista del territorio, occupato dai nazifascisti. Come è noto, la città subì anche numerosi bombardamenti in quei giorni, con i tedeschi che si appostarono sul forte La Carnale e in altri luoghi strategici per colpire le navi americane. Più tardi, nel ’44 (dal 10 febbraio al 15 luglio), proprio la nostra città divenne capitale del nuovo stato italiano, con presidente Pietro Badoglio, che si estendeva fino a Monte Cassino. Nel novembre 1943, invece, Fiume entrò a far parte della repubblica sociale d’Italia, ovvero dello stato costituito da Hitler e Mussolini nel centro-nord Italia. Fiume, però, era nel territorio direttamente occupato dai tedeschi. Palatucci rimase in pratica da solo, accerchiato dai nazisti: ciononostante non fuggì, ma rimase al suo posto, fece scomparire gli archivi contenenti informazioni sugli ebrei fiumani e continuò a salvare numerose persone. Inoltre, prese accordi con i partigiani, e fece anche in modo che il rilascio dei certificati alle autorità naziste avvenissero sempre su esplicita autorizzazione, così da avere notizia anticipata dei rastrellamenti e avvertire la popolazione. Nel settembre 1944 Giovanni Palatucci fu arrestato da un tenente colonnello delle SS; un mese dopo fu trasferito nel campo di sterminio di Dachau. Condivise fino all’ultimo giorno, dunque, il destino dei suoi amici ebrei: morì pochi giorni prima della Liberazione. E’ stato nominato ‘Giusto tra le nazioni’, e gli è stata conferita la Medaglia d’oro al valore civile dallo Stato Italiano. La Chiesa cattolica ha avviato il suo processo di canonizzazione: al momento Palatucci è definito per i credenti ‘servo di Dio’. Negli anni che trascorse nella Questura di Fiume, scrisse una frase, che lascia capire la sua umiltà: “Ho la possibilità di fare un po’ di bene, e i beneficiati da me sono assai riconoscenti. Nel complesso riscontro molte simpatie. Di me non ho altro di speciale da comunicare”. Il “po’ di bene” furono molte migliaia di ebrei salvati. Molto da comunicare su di lui, oggi, lo abbiamo noi.