Ieri, 17 luglio, Salerno ha celebrato il centesimo anniversario del suo massimo poeta, Alfonso Gatto, nato appunto il 17 luglio 1909 in una casa di Vicolo delle Galesse, alle spalle di Largo Campo. Un anniversario importante, per quello che è stato un genio della poesia, noto in Italia e a livello internazionale, ma legatissimo alla sua terra d’origine. Alfonso Gatto fu, nella sua vita, poeta, giornalista, scrittore, anche attore (in alcuni film di Pier Paolo Pasolini). Collaborò a diverse riviste letterarie, fondando “Campo di Marte”, con Vasco Pratolini, con cui condivise l’appartenenza alla corrente letteraria dell’ermetismo, sebbene la poetica di Gatto non possa essere circoscritta a un solo filone letterario per la sua straordinaria varietà. Incredibile vivacità ed eleganza nell’ uso della parola, giochi linguistici, straordinaria fantasia, sapiente uso della metrica e della rima, emozioni travolgenti, colori, odori, sapori più vivi che mai, intuizioni fulminanti, sogni e metafore, dolcezza e malinconia, speranza: questo e tanto altro era la poesia di Alfonso Gatto, che, purtroppo, non è conosciuta come si dovrebbe dai giovani salernitani, ma che s’innalza come una delle più importanti espressioni artistiche del Novecento italiano. Poesie che sorprendono per profondità, che consentono al lettore o all’ascoltatore di cogliere squarci di bellezza che altrimenti mai potrebbe notare, o agguantare sogni che non sospetta di agognare. Ieri sera, Gatto è stato celebrato proprio davanti alla sua casa nativa, in Vicolo delle Galesse: mentre sullo schermo venivano proiettate immagini e foto di archivio della sua vita, un gruppo di attori, guidati dal bravissimo Alessandro Nisivoccia, hanno interpretato le sue splendide poesie. Poesie che hanno dato un’anima a Salerno, come “Il vicolo della neve” (Straniero, se passi a Salerno /in una notte d’inverno/di luna a mezzo febbraio/se vedi il bianco fornaio/che batte le mani sul tondo/di quella faccia cresciuta,/ascolta venire dal fondo/degli anni la voce perduta. L’odore di menta t’invita,/la tavola bianca, la stanza/confusa dell’abbondanza …in quell’odore di forno/ per qualche sera la vita/ si scalda con le sue mani/ a quegli accordi lontani/del tempo che fu…) o “Lo stellato”, in cui il poeta rende incredibilmente colorate e profumate, più che mai suggestive le immagini della Salerno natia. A modesto parere del sottoscritto, che ha assistito alla celebrazione di ieri sera, si è trattato di uno splendido evento culturale, sicuramente uno dei più rilevanti degli ultimi anni per la nostra città: i versi di Alfonso Gatto hanno rivitalizzato il centro storico di Salerno, al quale erano dedicati, restituendo quei colori, quei sapori, quegli odori, quelle metafore, quelle sensazioni che solo un grande poeta poteva evidenziare.
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Perché, come si è detto nella presentazione allo spettacolo, solo un poeta come Gatto poteva vedere laddove l’uomo comune non vede, per far ammirare anche a quest’ultimo la straordinarietà di alcune zone della nostra città, come di alcuni sentimenti, o ricordi, o amori, o paesaggi. Come ripeto spesso in questo blog, Salerno è una città magnifica, ma avrebbe bisogno di essere celebrata. Gatto ne è stato il massimo vate, e ancora oggi, ascoltando le sue parole, comprendiamo meglio la bellezza dei nostri luoghi. Ma è suggestivo che questa celebrazione si sia svolta nel centro storico: troppo spesso il cuore della nostra città è solo preda di sfilate dei giovani e di consumi alcolici o gastronomici. L’anima ha bisogno di cibarsi di altro per sostentarsi, ha bisogno dei sogni, della bellezza, delle emozioni, che un poeta come Gatto sa dare. L’anima dei giovani salernitani, dunque, aspetta di essere alimentata, nello splendido centro storico, da altri eventi culturali che, si spera, possano succedersi regolarmente d’ora in avanti. Nell’attesa che possano sorgere altri giovani, capaci di rendere infinita, coi loro versi, la nostra imperfetta vita terrena a Salerno, aprendo squarci di speranza e bagliori di luce per i loro coetanei.